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MILANO - Solo un bambino su nove tra i 520mila bambini maltrattati o offesi in Gran Bretagna annualmente in ambiente domestico viene aiutato e protetto dalla autorità competenti. Le violenze sui minori, di tipo fisico e psicologico, sono un’emergenza globale, ma un recente studio britannico dimostra come le minacce stiano provenendo da direzioni differenti rispetto al passato. E che alla fine, se non si è preparati a questo epocale cambiamento, può essere più pericoloso per i bambini giocare con il telefonino anziché andare al parco da soli.

CARAMELLE DAGLI SCONOSCIUTI - L’orco è in casa, non è ai giardinetti. Non distribuisce più caramelle pericolose né rapisce i bambini, ma li aggancia in rete, in chat o sullo smartphone. Il bullo non aspetta più la sua vittima fuori dalla scuola per prenderlo a botte, ma la abborda attraverso i social network, in un modo più subdolo e persino più nocivo, come dimostrano i tragici episodi di suicidi di ragazzini violati e derisi in modo virale su Fb, presi di mira nella propria privacy e nella propria dignità a un’età in cui si è troppo fragili e vulnerabili. E poi ci sono i pericoli intesi come tutte le immagini o le parole che possono traumatizzare un bambino, ferendone nel profondo la psiche. Anche se la ferita non si vede.

LO STUDIO - Il report della charity National Society for the Prevention of Cruelty to Children (NSPCC) sottolinea infatti ancora una volta come la nuova frontiera del pericolo per i più piccoli sia rappresentata da internet. Il rapporto, stilato incrociando dati ufficiali e sondaggi, ricorda che le violenze sui bambini avvengono con il doppio di probabilità in casa. A proposito del web invece viene evidenziato che un quarto dei ragazzini tra gli undici e i dodici anni vede ogni giorno qualcosa che li turba su internet. Il trenta per cento dei giovanissimi compresi tra gli 11 e i 16 anni è stato vittima di cyberbullismo o attraverso il web o via smartphone e più del 10 per cento ha ricevuto messaggi di carattere esplicitamente sessuale. Infine il trenta per cento ha avuto contatti con estranei e il 25 per cento dei sedicenni ha visto immagini o video a carattere sessuale nel corso dell'ultimo anno.

NUOVI E VECCHI PERICOLI - Lisa Hawker, autrice dello studio, vuole rimarcare anche le buone notizie che emergono da questo report e insiste su un altro aspetto della ricerca, che mostra come per quanto riguarda i pericoli più tradizionali i piccoli siano invece più al sicuro al giorno d’oggi. Lo scorso anno in Gran Bretagna si sono verificati 21.500 episodi di molestie sessuali sui minori e seimila tra questi episodi sono sfociati in stupri. Ma nonostante questi dati sconfortanti, nel lungo periodo la violenza sui bimbi sta calando. Gli omicidi che coinvolgono minori dal 1980 sono scesi del 30 per cento e si è registrato anche un declino dei suicidi. I classici rischi ai quali erano esposti un tempo i più piccoli si sono ridimensionati e si può parlare di vecchi pericoli in declino a fronte di pericoli emergenti in aumento ai quali la società non è ancora preparata. Il problema è l’inconsapevolezza dei grandi, che spesso non si rendono conto di quanto i propri figli siano esposti ai rischi, nonostante siano chiusi nelle proprie case calde e rassicuranti. Mentre al parco, dove molti genitori non si fidano a lasciarli andare da soli, i malintenzionati sono sempre meno. L’iper protezione insomma è dannosa, ma soprattutto spesso è orientata nella direzione sbagliata. Basterebbe un atteggiamento più vigile da parte degli adulti di fronte al mondo digitale e una guida consapevole, che aiuti grandi e piccini a difendersi dalle nuove minacce usando precisi ed efficaci accorgimenti.

L’ANONIMATO - È molto difficile sottrarsi alle molestie, alle aggressioni o agli inviti ambigui, soprattutto a causa dell’anonimato dietro al quale, generalmente, si nascondono questi fenomeni online. Dallo studio britannico emerge infatti che uno dei pericoli più frequenti tra i ragazzi che frequentano internet sono il cyberbullismo e il sexting, nuove modalità di aggressione e di molestie mediante cellulari e rete, con una piccola ma significativa differenza rispetto ai fenomeni vecchio stile: l’anonimato. Stesso discorso vale per ogni tipo di atteggiamento disturbato che si cela dietro a un’identità nascosta. Forse bisognerebbe iniziare da qui per proporre un uso educato di internet. Ai tempi della rete della prima ora circolava in rete una deliziosa vignetta che ritraeva un cagnetto intento a chattare mentre pensava tra sé e sé: «Il bello di internet è che nessuno sa che sono un cane». Ma quell’anonimato sinonimo di libertà ha purtroppo anche un altro volto che non ha a che fare con la libertà e che ha molto a che fare con nuovi tipi di minacce. Mentre al parco forse si potrebbe qualche caramella da sconosciuti, che non sono sempre cattivi. «A fronte dei pericoli emergenti - sottolinea lo studio - rivestono un importante ruolo la società, le comunità e le famiglie che hanno il dovere di collaborare con le istituzioni che non possono gestire il problema da sole. E forse il primo passo è l’informazione.

Fonte: Corriere della Sera [Emanuela di Pasqua]

TRENTO - Filmati a loro insaputa con la web cam in situazioni a sfondo sessuale, venivano ricattati da cyber-truffatori che in cambio di denaro minacciavano di diffondere i filmati in rete. È successo ad una decina di adolescenti trentini che alla fine si sono rivolti alla Polizia postale.

L'episodio si inquadra - osservano gli investigatori - nel fenomeno sempre più diffuso fra gli adolescenti del sexting, che consiste principalmente nello scambio di foto e video a sfondo sessuale, spesso realizzate con il cellulare, o nella pubblicazione in internet tramite chat e social network.
In questo caso i ragazzi, collegandosi ad un sito di 'chatroulette', venivano indotti a masturbarsi. Quindi veniva chiesta loro l'amicizia su un social network e successivamente partivano le minacce di diffondere i filmati in rete. Unica via d'uscita pagare un centinaio di euro.
Di fronte a questo ricatto gli adolescenti si sono rivolti alla polizia che ha avviato indagini per individuare i responsabili. Secondo una recente indagine di Telefono azzurro ed Eurispes, nel  oltre un adolescente su quattro ha ricevuto un sms, un mms o un video a sfondo sessuale.

FONTE: Leggo 11-02-2013

Nell’era della «tecnoliquidità» anche lo scenario umano inizia a cambiare: la mente dei giovanissimi è fatta in modo differente da quella dei genitori.

Generazioni diverse, a partire dal cervello. «Quello dei nativi digitali, ragazzini nati dopo il 2000, è differente rispetto a quello dei loro genitori: studi condotti in Asia hanno mostrato che siamo di fronte a una mutazione, una sorta di evoluzione dell’umanità, diventata mentalmente più rapida e davvero multitasking. Parliamo di ragazzini cresciuti a latte e tablet, in grado fin da piccoli di integrare meglio realtà e tecnologie, dominandole e rischiando molto meno rispetto agli altri di sviluppare una dipendenza da Internet, chat e giochi online». A disegnare l’identikit di «nativi digitali, immigrati digitali e generazione pre-digitale» è lo psichiatra Tonino Cantelmi, professore di psicologia dello sviluppo alla Lumsa. 

«È ormai l’era della comunicazione tecnoliquida, il nuovo scenario tra web e realtà in cui le persone si muovono, ragionano e comunicano nell’era postmoderna - dice Cantelmi - Il fatto è che i nativi digitali, cresciuti con una dieta di tablet, videogiochi e computer, ormai sono dotati di un cervello più percettivo e meno simbolico rispetto a quello, per capirci, dei loro genitori. Si tratta di bambini e ragazzini davvero multitasking, in grado di distribuire l’attenzione su 4-5 dispositivi allo stesso tempo: studiano, ascoltano la musica, rispondono agli sms e guardano Facebook sul pc, senza nessuna difficoltà». Mente e mani dei ragazzini volano tra i dispositivi, esaltando la modalità «touch»: «Sono più efficienti e rapidi con telefonini e pc, e rischiamo meno degli altri di cadere nella trappola della tecnodipendenza - assicura lo psichiatra - Un problema che, invece, incombe sul 10% degli immigrati digitali, meno smart e spontanei quando sono alle prese con i dispositivi high tech, tanto che leggono ancora i libretti delle istruzioni».  

Di fronte a questa netta superiorità della generazione digitale, cambiano anche i modi dell’apprendimento. «I “nativi” imparano solo attraverso il gioco. La fatica e il sudore della fronte non sono più accettabili: tutto deve essere veloce e divertente». Tanto che «ci si cerca fra coetanei anche per studiare cose differenti: si creano grandi gruppi di amici, impegnati su testi diversi, che possono però scambiarsi battute, mostrare foto o mail, condividere messaggi. E dunque divertirsi studiando», dice Cantelmi. Un sistema che può risultare incomprensibile agli “immigrati digitali”, «meno smart e multitasking, abituati da sempre a fare una cosa alla volta, e scettici su questa modalità di studio». «Per i giovanissimi - prosegue lo psichiatra - tutto deve essere interattivo e nulla unidirezionale: è il loro cervello a richiederlo. E i genitori non li capiscono proprio perché la loro mente è fatta in modo differente».  

Come riconoscere, invece, gli “immigrati digitali”? «In aeroporto - spiega lo studioso - sono quelli che fanno le code al check-in, un concetto assurdo per i nativi digitali: esistono sistemi per fare i biglietti e i controlli online, tutto deve essere immediato. Addio anche alla fila alla posta, si paga sul pc. E il web offre mille modi per dribblare le code». Tra nativi digitali e immigrati c’è ancora spazio per un altro gruppo: i nati prima del trionfo di pc e telefonini. «L’umanità del prossimo futuro sarà composta anche dai predigitali, soggetti che usano il telefonino solo per fare chiamate, magari leggono (a fatica) gli sms ma non sanno scriverli, non usano il computer o lo fanno in modo sporadico e sono decisamente “monotasking”. Si tratta - conclude Cantelmi - di persone destinate ad essere disadattate in un futuro sempre più digitale. In cui troveranno spazio anche gli “intrappolati”: i drogati del web e delle chat».

Fonte: La Stampa

EDINBURGO - Un dodicenne violenta una bambina di 9 anni dopo aver visto un porno. «Volevo sentirmi grade», ha dichiarato oggi al Daily Mail, a distanza di due anni dal fatto.
Il caso, che ha sconvolto il Paese ha dimostrato quanto possa essere pericoloso e deviante un uso incondizionato e incontrollato della rete da parte dei minori.
L'avvocato del ragazzo ha dichiarato: «Si tratta di un'emulazione di un atto adulto.
Gli è stato concesso libero accesso a Internet e, all'età di 12 anni, ha avuto l'accesso a materiale pornografico». Il giudice, come condanna, decise per lui, non il carcere, ma una struttura in cui potesse essere seguito.

Il fatto venne alla luce solo quando la bambina si sentì male e disse alla madre di temere di avere un bambino nella pancia.
Da quelle parole la madre cercò d indagare e si scorpì che la piccola era stata ripetutamente violentata in un capannone, luogo che ricordava l'ambientazione del porno.

FONTE: LEGGO 1-6-12

Dal social network un giro di vite sui profili dei più piccoli, che spesso accedono mentendo sull'età.
Le identità della famiglia saranno collegate, per rispettare la legge federale e proteggere i più piccoli.

IL WEB E I BAMBINI, un argomento delicato. Nell'epoca della condivisione in tempo reale di dati, foto e video, proteggere i minori da possibili usi criminali o abusi non è impresa semplice. In quest'ottica, Facebook sta sviluppando una tecnologia che consentirà ai bambini con meno di 13 anni di usare il social network sotto il controllo dei genitori. Al momento infatti i minori di 13 anni non possono accedere a Facebook, ma molti bambini mentono sulla loro età. Mettendo così in difficoltà l'azienda, tenuta al rispetto della legge federale che prevede che i siti ottengano il consenso dei genitori prima di raccogliere i dati personali dei minori.

Account collegati.
Secondo un rapporto dei consumatori dello scorso anno, sono stati 7,5 milioni i bambini con meno di 13 anni a usare il sito, di cui 5 milioni con meno di 10 anni. Uno studio commissionato da Microsoft Research diffuso lo scorso autunno ha rivelato che il 36% dei genitori è a conoscenza dell'uso di Facebook dei propri bambini.

Stando a quanto riportato da alcune fonti vicine ai dirigenti di Facebook, il meccanismo al vaglio del social network prevede che gli account dei bambini siano collegati a quelli dei loro genitori, in modo che questi possano autorizzare le amicizie dei figli e le applicazioni da usare. "Studi recenti evidenziano quanto sia difficile far rispettare i limiti di età su internet, soprattutto quando i genitori autorizzano i figli ad accedere ai contenuti e ai servizi della rete", dice Facebook al Wall Street Jornal, aggiungendo che l'azienda è  "in continuo contatto con azionisti, autorità e altri legislatori sul modo migliore per aiutare i genitori a garantire la sicurezza dei loro figli nella rete in continua evoluzione". Mentre gli utenti di Facebook sono chiamati ad esprimere il voto sulla tutela della privacy, il social network più frequentato del mondo stringe la morsa sulle possibili insidie per i più piccoli e nello stesso tempo richiama i genitori al monitoraggio dell'uso di internet per i propri figli.

Privacy al vaglio degli utenti.
Per una settimana su Facebook si potrà votare sulle novità che riguardano il trattamento dei dati personali. Tra i 900 milioni di iscritti chi vorrà, su un'apposita pagina potrà esprimere un'opinione sul mantenimento del vecchio sistema di privacy, o optare per le nuove proposte e sull'ipotesi di abbandonare o meno la timeline. Un referendum che nelle intenzioni di Zuckerberg dovrà raggiungere il 30% dei pareri (circa 270 milioni di persone) perchè possa essere considerato vincolante. Altrimenti i voti raggiunti saranno considerati solo come opinione.

FONTE: REPUBBLICA 4-6-2012

Instagram, Tweegram, iMessage: la vita segreta degli adolescenti online.
Inutile vietare i social network, dicono gli esperti. Anche i più piccoli sanno dove trovare le app per condividere

MILANO - Il modello più autorevole potrebbe essere papà Obama, che vieta alle figlie di 10 e 13 anni l'uso di Facebook, «perchè non si mettano a raccontare i fatti loro agli sconosciuti». Ma anche senza essere Presidenti e capi di Stato, sono tanti - e in qualche caso legittimamente - i genitori che del social network blu temono violazioni di privacy e potenziali pericoli. Sempre di più quelli che «pedinano» i propri figli in Internet, violando computer e parole chiave, intercettando amici di cui non sospettano l'esistenza e creando falsi profili per monitorare l'attività in rete.

CONDIVIDERE - Tutto inutile (e discutibile), avvertono gli esperti: quello che si vede è solo la punta dell'iceberg. Gli vietate di aprire un account Facebook? Scambieranno foto via Instagram (applicazione da 30 milioni di utenti appena acquistata da Zuckerberg per un miliardo di dollari) o con iMessage, corredate di messaggi di testo creati con Tweegram o Versagram. «App» nuove e gratuite, che si scaricano in pochi secondi e consentono di aggirare i divieti (una rassegna completa in un recente articolo del Wall Street Journal). Difficile porre freni alla smania di «condividere». Tanto più che secondo l'ultima ricerca di eMarketer, il 15% dei ragazzini sotto gli 11 anni ha un cellulare di ultima generazione. E la più recente indagine del Pew Research Center rivela che nella fascia tra i 12 e i 17 anni sono almeno il 16% quelli che cinguettano via Twitter. Per legge, YouTube, Google, Facebook, Timblr e Twitter dovrebbero essere accessibili solo dopo i 13 anni. Ma la regola è facilmente aggirabile inserendo una data di nascita fasulla, o facendo aprire un account da un amico.

DIVIETI - Gli psicologi sono divisi: qualcuno appoggia lo «spionaggio», data la portata dei rischi. Altri lo escludono categoricamente: «E' inutile e i ragazzi sono bravissimi a superare divieti», sostiene Matteo Lancini, docente di Psicologia in Bicocca ed esperto di adolescenti. «Fondamentale, invece, accompagnare bambini e ragazzi nell'uso di Internet, almeno fino ai 12, 13 anni. Poi è importante fidarsi e coltivare il dialogo e la relazione: se si mettono nei guai devono trovare una porta aperta, qualcuno con cui parlarne».

PER I PIÙ PICCOLI - E mentre i genitori si interrogano su limiti e modi del loro interferire, gli esperti di marketing propongono social network per la «touch generation» e applicazioni interattive in grado di scardinare le diffidenze degli adulti. Come KidzVuz, per esempio, «ambiente sicuro per nativi digitali di dieci anni o giù di li», ideato da due supertecnologiche mamme newyorkesi: una start up che insegna ai bambini a creare e condividere contenuti multimediali, ma senza lasciare tracce personali, e senza possibilità di chattare. I messaggi che compaiono sul sito vengono accuratamente filtrati. O come Playground, piattaforma «di socializazione» per ragazzini in età scolare messa a punto dal laboratorio per l'innovazione della Southern California University, che consente di creare application e video. O FashionPlaytes.com, sito per ragazzine tra i 5 e i 12 anni, che si incontrano per disegnare abiti e parlare di moda. O Kibooko, ambiente «sicuro» (e a pagamento per consentire ai bambini di interagire con i coetanei. Piazze virtuali che sostituiscono strade e cortili. Collocate nel salotto di casa, dove i pericoli non possono entrare.

Fonte: Corriere della Sera [Antonella De Gregorio]