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SEXTING, attenti ai SocialNetwork [Corriere della Sera]

In 40 ore almeno 12 mila autoscatti entrano nel giro dei social network. E da lì vengono catturati dai “mostri”

MILANO – Tutto inizia per gioco: una foto di se stesse/i, più o meno spinta, mandata a una persona della quale ci si fida, che si conosce bene e che magari si ama, o si crede di amare. Da lì quell’autoscatto intraprende un percorso che il teenager non riesce più a controllare, né forse a immaginare, e spesso rischia di giungere a destinazioni virtuali pericolose che abusano dei minori. I giovani utenti non hanno sufficiente consapevolezza della rete e dei suoi rischi e un report ne svela le insidie, sfoderando i numeri allarmanti di un mondo pedo-pornografico parassita e rapidissimo nell’impadronirsi di contenuti mirati. Ecco perché fare sexting può essere molto pericoloso.

IL CAMMINO DI UN AUTOSCATTO - L’iter è questo: la ragazzina invia messaggi espliciti corredati da autoscatti che la ritraggono nuda o anche solo in pose sensuali, erotiche, ammiccanti o semplicemente troppo maliziose. Il ragazzino li riceve sul telefonino e li inoltra a sua volta a un compagno, oppure quest’ultimo glieli sottrae a sua insaputa, oppure ancora, una volta finita la relazione, l’ex-fidanzatino li diffonde di proposito sui social network. Già a quel punto il cammino di quell’istantanea è a rischio e il protagonista o la protagonista della foto non sarà più in grado di gestirla, di recuperarla o di controllarla. Risucchiata dalla rete, l’istantanea scomoda diventa virale, si divulga con la velocità di un virus e soprattutto rischia di essere notata da chi della pedo-pornografia fa un vero e proprio business.

I DATI DELLA IWF - Dalla denuncia della Internet Watch Foundation, charity britannica esperta in tracciabilità e rintracciabilità di contenuti pedo-pornografici, quest’ultima modalità di diffusione degli autoscatti degli adolescenti è diffusissima. La IWF ha provato infatti a contare quante sono le istantanee osé scattate e diffuse quasi per gioco che vengono raccolte dai siti hard, concludendo che i numeri sono preoccupanti e che la stragrande maggioranza di foto e video hard generati dagli stessi giovanissimi vengono prelevati dalla collocazione originaria per essere pubblicati su siti per adulti.

NELLE MANI DEL PORNO - I siti pedo-porno attingono infatti soprattutto dai social network per recuperare foto di minori e alimentare un traffico purtroppo conosciuto.
Secondo Susie Hargreaves, Ceo di Internet Watch Foundation, questi autoscatti espliciti e talvolta persino innocenti costituiscono ormai la fonte principale di approvvigionamento dei siti per adulti, con un danno psicologico, sociale ed emotivo incalcolabile per i giovanissimi. Ma i ragazzi non ne sono consapevoli, non pienamente quantomeno. Per questo la charity britannica ha deciso di contare tutte le immagini self-generated del web approdate a siti per adulti, setacciando il web per 40 ore e individuando, in questa ristretta finestra temporale, ben 12.224 autoscatti rubati da 70 siti dedicati al porno. Il che significa che, fatte le dovute proporzioni, in un arco di tempo più dilatato la mole di foto fai-da-te che finisce nel giro pornografico è impressionante.


COME RIMEDIARE – Inutile dire che sarebbe meglio non diffondere autoscatti hard in rete ed è bene sapere che già nella prima condivisione si perde il controllo dell’immagine. Nel caso in cui però si sia sbagliato e si voglia arrestare il cammino di quell’autoscatto l’unica via è rivolgersi alla polizia postale, che si occupa di controllare tutto ciò che viene diffuso in rete, tutelando soprattutto i minori soggetti a ogni tipo di abuso. Una volta effettuata la segnalazione, la polizia postale si farà carico di individuare il responsabile della pubblicazione e della diffusione dell’ immagine del minore e successivamente proverà a rimuoverla definitivamente dal web. Ma non sempre è sufficiente togliere una foto dai siti parassiti ed è giusto sapere che, una volta postato sul web, un contenuto potrebbe anche risiedervi per sempre. Senza alcun diritto all’oblio.

Fonte: Corriere della Sera 14 ottobre 2013 (Leggi Articolo Completo)