I principali PERICOLI sul WEB

DIFFAMAZIONE

Offendere una persona tramite la bacheca di Facebook è REATO DI DIFFAMAZIONE a mezzo di stampa, a dichiararlo è ufficialmente la Cassazione con una sentenza di fine Aprile 2015 (numero 24431/15).

Questa pronuncia per quanto ci riguarda è importantissima sotto due aspetti:

  • Il primo perché dimostra come il mondo del web, data la sua potenziale natura di strumento indelebile e illimitato, possa nascondere insidie per chi naviga in maniera ingenua e disinformata.
  • Il secondo aspetto invece riguarda il modo in cui la Cassazione è arrivata a questa conclusione poiché la soluzione aperta tramite questa pronuncia può segnare una strada percorribile anche per delle successive pronunce con riferimenti a reati diversi.

Iniziamo dal primo punto: cosa vuol dire che offendere una persona su Facebook è reato di diffamazione a mezzo di stampa?

Cominciamo leggendo l’articolo 595 del nostro codice penale :
ART 595- Diffamazione.
Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente, comunicando con più persone, offende l'altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a euro 1.032.
Se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a euro 2.065.
Se l'offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a euro 516 

Commento a cura di Meroni MatteoPerché si abbia diffamazione occorre offendere l’altrui reputazione comunicando con più persone, questo ci fa capire come già il reato di per sé trovi un terreno fertile in un social network popolato da milioni di utenti, ma la Cassazione dice di più: diffamare tramite Facebook non è una semplice diffamazione ma risulta essere a mezzo di stampa, infatti leggendo il comma 3 l’espressione “con qualsiasi altro mezzo di pubblicità”  non può non prendere in considerazione la potenzialità dello strumento Facebook proprio perché, citando le parole testuali della Suprema Corte, “ l’aggravante sta nella potenzialità, nella  idoneità e nella capacità del mezzo utilizzato per la consumazione del reato a coinvolgere e raggiugere una pluralità di persone, ancorché non individuate nello specifico ed apprezzabili solo in via potenziale, con ciò cagionando un maggiore e più diffuso danno alla persona offesa”.

La Cassazione mette bene in chiaro quello che è Facebook ma che vale per ogni social network: sono strumenti che hanno una diffusione potenzialmente illimitata e la Corte, soffermandosi poi sul carattere interpersonale degli utenti che possono leggere, non ha dubbi nel condannare un uso spropositato di questo strumento di comunicazione.

Spesso le persone (soprattutto i giovani) sono convinte che, nascosti dalla tastiera, certe affermazioni o certe frasi facciano parte solo di un mondo virtuale, che una volta spento il computer o lo smartphone non esiste più.
Tuttavia non è cosi! 
I social sono integrazioni di utenti e dove sono coinvolti gruppi di persone di conseguenza lo sono anche i diritti che, in quanto strettamente attinenti alla persona, non possono essere abbattuti nemmeno quando davanti ad essi ci sia una barriera virtuale.

Una volta capito che è possibile incorrere nel reato di diffamazione a mezzo di stampa tramite Facebook, la seconda domanda che sorge spontanea è: ma COSA SI RISCHIA?

La norma del già citato articolo 595 codice penale è molto chiara:
Se l'offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a euro 516.

Quindi per un commento offensivo dell’altrui reputazione su Facebook si rischiano dai 6 mesi ai 3 anni di reclusione o una multa dal valore minimo di 516 euro? 
Ebbene si!
Al diritto le varie giustificazioni “non ho fatto apposta-non volevo-non lo sapevo” non interessano: la legge non ammette ignoranza ed è molto chiara nella formula.

Il secondo punto riguarda il modo in cui siamo arrivati alla pronuncia: la Cassazione ha interpretato il termine con qualsiasi altro mezzo di pubblicità comprendendo al suo interno l’utilizzo di Facebook.
Questo significa che non è escluso che in futuro altre fattispecie di reato siano riconducibili ad un uso sbagliato dei social network perché dove non è ancora arrivato il legislatore, dove non c’è ancora una legge specifica che condanni certi utilizzi del web, c’è sempre pronta la giurisprudenza dei tribunali che, tramite l’interpretazione delle leggi già esistenti, cerca sempre di adeguare il diritto alle situazioni più attinenti della realtà di tutti i giorni, compresa la paradossale realtà virtuale.

Testo a cura di: Meroni Matteo