Primi provvedimenti disciplinari al liceo dopo i casi sui siti «spotted»
Messaggi volgari, offensivi, diretti a compagni e professori. Sono nei siti «spotted» dei licei, pagine web create su Facebook per scambiare messaggi amorosi e pettegolezzi. Questa almeno l'idea di partenza. Ma qualcuno va oltre. Volano parole troppo pesanti. E i presidi corrono ai ripari. Scattano le denunce e le prime sospensioni. Martedì un provvedimento disciplinare è stato comunicato a una studentessa del liceo Agnesi.
LA SOSPENSIONE - Nei giorni scorsi si era spontaneamente consegnata al preside. «Ho scritto io alcuni messaggi "forti"», ha raccontato. «Abbiamo parlato con lei e con i genitori. Poi il consiglio di classe ha deciso: allontanamento per otto giorni, relazione su due libri sul cyberbullismo e volontariato durante gli stage all'estero», ha spiegato una professoressa dell'istituto.
Ed è pronta a intervenire anche un'altra preside. Apprezzamenti pesanti sono stati segnalati anche sulla pagina «spotted» del liceo Virgilio. «Oggi incontrerò gli studenti», dice la dirigente Nicolina Francavilla. Potrebbero scattare anche per loro provvedimenti disciplinari. Le segnalazioni fioccano ormai da settimane, sono state aperte all'inizio di marzo le prime pagine «spotted» dei licei milanesi, dal Parini al Berchet, dal Volta al San Carlo.
I SITI E LE PAGINE «SPOTTED»
L'amministratore delle pagine su Facebook è anonimo, ma i destinatari dei messaggi sono facilmente riconoscibili: c'è la classe, la sezione, le iniziali del nome. L'idea è partita da un college londinese, è rimbalzata fino alle nostre università, dalla Sapienza alla Bocconi, poi i liceali hanno imitato i fratelli maggiori e adesso anche i ragazzini delle medie seguono l'esempio dei più grandi.
Il problema è spiegare ai giovanissimi la differenza che passa fra scrivere una parolaccia sul muro del bagno e postarla su Facebook. «Serve un'azione educativa, non si rendono conto del danno che fanno», dice il preside dell'Agnesi, Giovanni Gaglio, che intanto ha sporto denuncia: «Bisogna risalire agli amministratori della pagina».
«Non sono soltanto battute», assicura. «Frasi ingiuriose e diffamatorie», è scritto nella denuncia. «Pronto a ritirarla, se chi ha sbagliato ha capito e si ferma». Intanto la prima pagina «spotted Agnesi» è sparita.

LO STUDIO -
L’ANONIMATO - È molto difficile sottrarsi alle molestie, alle aggressioni o agli inviti ambigui, soprattutto a causa dell’anonimato dietro al quale, generalmente, si nascondono questi fenomeni online. Dallo studio britannico emerge infatti che uno dei pericoli più frequenti tra i ragazzi che frequentano internet sono il cyberbullismo e il sexting, nuove modalità di aggressione e di molestie mediante cellulari e rete, con una piccola ma significativa differenza rispetto ai fenomeni vecchio stile: l’anonimato. Stesso discorso vale per ogni tipo di atteggiamento disturbato che si cela dietro a un’identità nascosta. Forse bisognerebbe iniziare da qui per proporre un uso educato di internet. Ai tempi della rete della prima ora circolava in rete una deliziosa vignetta che ritraeva un cagnetto intento a chattare mentre pensava tra sé e sé: «Il bello di internet è che nessuno sa che sono un cane». Ma quell’anonimato sinonimo di libertà ha purtroppo anche un altro volto che non ha a che fare con la libertà e che ha molto a che fare con nuovi tipi di minacce. Mentre al parco forse si potrebbe qualche caramella da sconosciuti, che non sono sempre cattivi. «A fronte dei pericoli emergenti - sottolinea lo studio - rivestono un importante ruolo la società, le comunità e le famiglie che hanno il dovere di collaborare con le istituzioni che non possono gestire il problema da sole. E forse il primo passo è l’informazione.
«È ormai l’era della comunicazione tecnoliquida, il nuovo scenario tra web e realtà in cui le persone si muovono, ragionano e comunicano nell’era postmoderna - dice Cantelmi - Il fatto è che i nativi digitali, cresciuti con una dieta di tablet, videogiochi e computer, ormai sono dotati di un cervello più percettivo e meno simbolico rispetto a quello, per capirci, dei loro genitori. Si tratta di bambini e ragazzini davvero multitasking, in grado di distribuire l’attenzione su 4-5 dispositivi allo stesso tempo: studiano, ascoltano la musica, rispondono agli sms e guardano Facebook sul pc, senza nessuna difficoltà». Mente e mani dei ragazzini volano tra i dispositivi, esaltando la modalità «touch»: «Sono più efficienti e rapidi con telefonini e pc, e rischiamo meno degli altri di cadere nella trappola della tecnodipendenza - assicura lo psichiatra - Un problema che, invece, incombe sul 10% degli immigrati digitali, meno smart e spontanei quando sono alle prese con i dispositivi high tech, tanto che leggono ancora i libretti delle istruzioni».
Di fronte a questa netta superiorità della generazione digitale, cambiano anche i modi dell’apprendimento. «I “nativi” imparano solo attraverso il gioco. La fatica e il sudore della fronte non sono più accettabili: tutto deve essere veloce e divertente». Tanto che «ci si cerca fra coetanei anche per studiare cose differenti: si creano grandi gruppi di amici, impegnati su testi diversi, che possono però scambiarsi battute, mostrare foto o mail, condividere messaggi. E dunque divertirsi studiando», dice Cantelmi. Un sistema che può risultare incomprensibile agli “immigrati digitali”, «meno smart e multitasking, abituati da sempre a fare una cosa alla volta, e scettici su questa modalità di studio». «Per i giovanissimi - prosegue lo psichiatra - tutto deve essere interattivo e nulla unidirezionale: è il loro cervello a richiederlo. E i genitori non li capiscono proprio perché la loro mente è fatta in modo differente».
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IL WEB E I BAMBINI, un argomento delicato. Nell'epoca della condivisione in tempo reale di dati, foto e video, proteggere i minori da possibili usi criminali o abusi non è impresa semplice. In quest'ottica, Facebook sta sviluppando una tecnologia che consentirà ai bambini con meno di 13 anni di usare il social network sotto il controllo dei genitori. Al momento infatti i minori di 13 anni non possono accedere a Facebook, ma molti bambini mentono sulla loro età. Mettendo così in difficoltà l'azienda, tenuta al rispetto della legge federale che prevede che i siti ottengano il consenso dei genitori prima di raccogliere i dati personali dei minori.
Account collegati. Secondo un rapporto dei consumatori dello scorso anno, sono stati 7,5 milioni i bambini con meno di 13 anni a usare il sito, di cui 5 milioni con meno di 10 anni. Uno studio commissionato da Microsoft Research diffuso lo scorso autunno ha rivelato che il 36% dei genitori è a conoscenza dell'uso di Facebook dei propri bambini.