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L'uomo, 37enne, è stato incastrato grazie a una segnalazione della scuola frequentata dall'adolescente.

Ha adescato un minorenne su Facebook inducendolo ad avere rapporti sessuali con lui in cambio di denaro o ricariche telefoniche, ma una segnalazione della scuola frequentata dall'adolescente lo ha incastrato e l'uomo, un 37enne già noto per fatti analoghi, è stato arrestato dalla polizia in esecuzione di un'ordinanza di custodia cautelare in carcere disposta dal gip di Pisa.

Le indagini, coordinate dal pm Aldo Mantovani e condotte dalla squadra mobile e dalla sezione pisana della polizia delle comunicazioni, hanno permesso di raccogliere gravi indizi di colpevolezza a carico dell'uomo per il reato di induzione alla prostituzione minorile, commessa ai danni di un quattordicenne della provincia di Pisa. L'arrestato già il 25 ottobre 2011 aveva subito una misura restrittiva disposta dal tribunale di Firenze per reati analoghi che avrebbe commesso ai danni di più minori.
L'inchiesta pisana è nata da una segnalazione partita direttamente dalla scuola che aveva allertato la procura circa la possibilità che il quattordicenne fosse entrato in contatto con qualche pedofilo via internet che gli faceva ricariche telefoniche.

A casa del ragazzino, è stato spiegato, i poliziotti hanno sequestrato materiale informatico e tecnologico in cui erano presenti tracce di contatti con una persona che gli chiedeva incontri a scopo sessuale in cambio di denaro, regali o altre utilità. L'adolescente, ascoltato con l'ausilio di uno psicologo, avrebbe confermato l'adescamento subito spiegando inoltre che l'uomo si presentava con il nome di Mike o Mailk Pisa su Facebook e di avere avuto con lui rapporti sessuali in cambio di soldi e sigarette. A casa del 37enne la polizia ha trovato anche altro materiale pedopornografico. Le indagini proseguono per accertare se possa aver adescato altri ragazzini.

Fonte: Corriere.it [03-07-2013]

Gran Bretagna divisa dopo la morte di una ragazzina caduta dalla finestra mentre implorava un coetaneo di cancellare un video che la ritraeva in pose sexy.

«La creatura si è fotografata proprio lì, con il nuovo smartphone che gli ha regalato il nonno e ha mandato la foto a una sua amichetta, una compagna di scuola. Eh che tempi...da non crederci...però che si potrà mai fare? Noi genitori dobbiamo rispettare la sua piccola privacy, vero?». E invece no, non dovete rispettare un bel niente: è il consiglio controtendenza, quasi un’intimazione, che Claire Perry, 48 anni, parlamentare conservatrice, madre di tre figli, appena nominata consigliera del premier britannico Cameron per «la prevenzione dello sfruttamento sessuale e commerciale della gioventù», fa nella sua prima intervista al Daily Mail. 

La Perry sostiene che in un mondo dove i ragazzini sono circondati da ogni tipo di pericoli online, i genitori dovrebbero sbarazzarsi della “stravagante” idea che i loro figli abbiano il diritto di tenere segreti i loro messaggi privati. Secondo la consigliera di Cameron, la pratica del “Sexting”, dove gli adolescenti si scambiano immagini delle proprie parti intime, il vecchio gioco del dottore nell’era digitale, è diffusa «in quasi tutte le scuole del paese». Sul banco degli accusati è l’intera società, complice nel permettere anche ai più giovani contatti inappropriati con sconosciuti potenzialmente pericolosi a qualsiasi ora del giorno e della notte. 

Dice la battagliera Claire: «Abbiamo dato ai nostri figli tutte queste possibilità di comunicare in privato, ma abbiamo abdicato alla possibilità di esserne coinvolti. Dobbiamo sentirci in diritto di chiedere. Di fare in modo di essere amici dei nostri figli su Facebook, di poter chiedere loro in qualsiasi momento se quello che stanno facendo è appropriato». 

La deputata conservatrice cerca di mettere in chiaro, per anticipare le critiche, che non sta cercando un impossibile ritorno ai «valori vittoriani», ma piuttosto di affrontare una situazione completamente nuova, determinata dall’impatto delle tecnologia digitale sulla società: “quando eravamo giovani noi, l’idea che i nostri genitori potessero permetterci di comunicare giornalmente con sconosciuti, o ricevere posta o chiamate private, sarebbe apparsa assolutamente bizzarra”. Claire Perry racconta che quando ha chiesto alla figlia di lasciarle vedere gli sms, la ragazza l’ha guardata come se fosse stata una pazza. A rincuorarla è stato il pensiero: «Dopotutto sono io che pago». 

La scorsa settimana il caso di Chevonea Kendall-Bryan ha scosso l’Inghilterra aprendo uno scorcio sugli scambi sul web tra adolescenti. La tredicenne, studentessa della zona Sud di Londra, è morta cadendo dalla finestra del suo appartamento mentre implorava un ragazzo che stava al piano di sotto di cancellare un video che la ritraeva in pose sexy dal telefonino. La crociata contro la privacy degli adolescenti ha subito sollevato le proteste di molti che pensano che la libertà consista nel fare ciò che si vuole. “Per adesso - dice la consigliera del premier - mi sono guadagnata un mucchio di seguaci che mi odiano su Twitter”.

Fonte: La Stampa (Claudio Gallo, corrispondente da Londra)

Il movimento genitori italiano denuncia il sito in blu per omesso controllo nel caso del suicidio di una giovane novarese seguito a video di violenze postati online. Le misure di tutela non bastano e i genitori hanno le mani legate.

Roma - Istigazione al suicidio e detenzione di materiale pedopornografico, tra le accuse contro un gruppo di otto minori indagati dalla procura torinese per il tragico suicidio di una 14enne nel novarese. Per la proliferazione online di alcuni video di violenza girati ad una festa tra ragazzi, un caso di bullismo cibernetico ai danni di quei soggetti più esposti a certe vessazioni sui social network.

Più volte critici nei confronti delle principali piattaforme della condivisione, i responsabili del Moige - movimento italiano genitori - hanno deciso di denunciare Facebook alla Procura della Repubblica di Roma. "Per la grave corresponsabilità della multinazionale per omesso controllo e vigilanza nel tragico caso della giovane Carolina", il movimento tricolore è pronto a "costituirsi parte civile in tutti i prossimi episodi di mancato controllo a danno dei minori da parte di Facebook".

"È grave che una multinazionale come Facebook non effettui una vigilanza sulle piazze virtuali, che sembrano diventate lo strumento privilegiato per pedofili e bulli - ha spiegato Maria Rita Munizzi, presidente nazionale del Moige - Siamo indignati e preoccupati per il silenzio e l'indifferenza di chi gestisce questi potenti mezzi di comunicazione, senza un'adeguata politica di tutela dei minori".
Alla pagina in blu Safety, Facebook ha già messo a disposizione una squadra di esperti per la pubblicazione di video esplicativi e consigli pratici sul corretto funzionamento delle varie impostazioni previste nelle privacy policy dello stesso social network californiano. Il Moige è però preoccupato dal "far west che vivono i nostri figli iscritti senza il nostro consenso a Facebook, la questione dell'accesso e vigilanza è centrale".

"Abbiamo più volte ricordato che l'iscrizione dei minori concretamente comporta la formalizzazione di un contratto da parte di un soggetto che non ha ancora capacità giuridica per farlo - ha spiegato ancora Munizzi - né al genitore è riconosciuta la possibilità di esercitare la legittima potestà di controllo sul proprio figlio".

Fonte: Punto Informatico - Mauro Vecchio

 

Primi provvedimenti disciplinari al liceo dopo i casi sui siti «spotted»
Messaggi volgari, offensivi, diretti a compagni e professori. Sono nei siti «spotted» dei licei, pagine web create su Facebook per scambiare messaggi amorosi e pettegolezzi. Questa almeno l'idea di partenza. Ma qualcuno va oltre. Volano parole troppo pesanti. E i presidi corrono ai ripari. Scattano le denunce e le prime sospensioni. Martedì un provvedimento disciplinare è stato comunicato a una studentessa del liceo Agnesi.

Il preside dell'Agnesi Giovanni Gaglio si è rivolto alla polizia postaleLA SOSPENSIONE - Nei giorni scorsi si era spontaneamente consegnata al preside. «Ho scritto io alcuni messaggi "forti"», ha raccontato. «Abbiamo parlato con lei e con i genitori. Poi il consiglio di classe ha deciso: allontanamento per otto giorni, relazione su due libri sul cyberbullismo e volontariato durante gli stage all'estero», ha spiegato una professoressa dell'istituto.
Ed è pronta a intervenire anche un'altra preside. Apprezzamenti pesanti sono stati segnalati anche sulla pagina «spotted» del liceo Virgilio. «Oggi incontrerò gli studenti», dice la dirigente Nicolina Francavilla. Potrebbero scattare anche per loro provvedimenti disciplinari. Le segnalazioni fioccano ormai da settimane, sono state aperte all'inizio di marzo le prime pagine «spotted» dei licei milanesi, dal Parini al Berchet, dal Volta al San Carlo.

I SITI E LE PAGINE «SPOTTED»

L'amministratore delle pagine su Facebook è anonimo, ma i destinatari dei messaggi sono facilmente riconoscibili: c'è la classe, la sezione, le iniziali del nome. L'idea è partita da un college londinese, è rimbalzata fino alle nostre università, dalla Sapienza alla Bocconi, poi i liceali hanno imitato i fratelli maggiori e adesso anche i ragazzini delle medie seguono l'esempio dei più grandi.
Il problema è spiegare ai giovanissimi la differenza che passa fra scrivere una parolaccia sul muro del bagno e postarla su Facebook. «Serve un'azione educativa, non si rendono conto del danno che fanno», dice il preside dell'Agnesi, Giovanni Gaglio, che intanto ha sporto denuncia: «Bisogna risalire agli amministratori della pagina».
«Non sono soltanto battute», assicura. «Frasi ingiuriose e diffamatorie», è scritto nella denuncia. «Pronto a ritirarla, se chi ha sbagliato ha capito e si ferma». Intanto la prima pagina «spotted Agnesi» è sparita.

FONTE: Corriere.it

Indagine su 5mila adolescenti italiani. Il dato comune: voti bassi e famiglie disagiate.

Un soprannome sgradevole, lo scherno continuo, la forza fisica usata per piegare, umiliare. Capita a un adolescente su cinque. Soprattutto tra le pareti scolastiche (51%). Dove un ragazzo su due dice di aver assistito a episodi di bullismo, il 15% di esserne stato vittima, mentre il 16% ammette di essere un bullo.
«Avevo paura delle conseguenze» o «non sapevo come aiutare la vittima», sono le motivazioni addotte dal 50% degli adolescenti testimoni di episodi di bullismo o cyberbullismo che impediscono di intervenire a favore della vittima. I dati sono contenuti nella ricerca svolta nell'ambito del Progetto europeo E-Abc - Antibullying Campaignsu 16.227 giovani delle scuole superiori di 5 Paesi tra cui l'Italia (al fianco di Grecia, Lituania, Bulgaria, Estonia, Lettonia). Per l'Italia, rappresentata da Telefono Azzurro, hanno partecipato oltre 5mila studenti.

L'INDAGINE - Un'indagine che fa luce non solo sulle vittime - che, come hanno mostrato molti casi di cronaca, affrontano una sofferenza che può avere conseguenze estreme - ma anche sugli altri protagonisti: bulli e testimoni. Accomunati, il più delle volte, da due caratteristiche: basso rendimento scolastico e problemi familiari. I fenomeni sono più frequenti - dice la ricerca - in presenza della situazioni familiari più difficili: Le vittime di bullismo sono per il 40,5% studenti con genitori che abusano di alcol, il 31% convivono con familiari che in casa risolvono i conflitti con la violenza, il 23% vivono disagi economici o le conseguenze della disoccupazione di mamma o papà. Le stesse percentuali si osservano con i bulli, anche se sale la percentuale (44,2%) di quelli che subiscono violenze in famiglia.

BULLI E VITTIME SI ASSOMIGLIANO - «Bulli e vittime si assomigliano - conferma Silvia Vegetti Finzi, professoressa di Psicologia dinamica a Pavia -. La loro configurazione sociale è molto simile, la differenza sta nel temperamento. La vittima è più fragile, ma la condizione di superiorità del bullo è in relazione solo al gruppo». Secondo la ricerca, le prime avvisaglie di bullismo si possono riscontrare già dalle scuole elementari. Vegetti Finzi arriva a dire «dalla scuola materna». Si tratta di bambini «che prevaricano gli altri - spiega - con la loro vitalità corporea. Ma anche in quel caso le vittime soffrono, vivono nel terrore e gli educatori devono stare attenti».

L'APP E LA PIAZZA - «Negli ultimi anni sono cresciute le segnalazioni - sostiene Ernesto Caffo, presidente di Sos telefono Azzurro - soprattutto dopo l'esplosione del cyber-bullismo». Il presidente, ordinario di Neuropsichiatria infantile all’Università di Bologna, ha presentato a Milano la campagna europea antibullismo, che si avvale anche di un video. L'associazione scenderà in piazza - in 2.300 piazze italiane - il 20 e il 21 aprile per la campagna «Aprile azzurro. Ci vuole un fiore»: raccoglierà donazioni, ricambiando con il fiore della Calancola e sosterrà in questo modo le linee telefoniche (1.9696 e 116.000), la chat, il numero di emergenza 114. «E da poco abbiamo lanciato un’App su Facebook e proprio oggi abbiamo messo online il nostro sito rinnovato, perché è fondamentale parlare ai ragazzi là dove sono presenti», ma non basta. Continua ancora Caffo «ci rapportiamo con la scuola, puntiamo a formare gli insegnanti, lavoriamo molto anche con i progetti europei perché i problemi di bambini e adolescenti del continente sono molto simili anche se nei paesi del Sud Europa il bullismo è presente in misura minore che nel Nord. Quello cui dobbiamo puntare è alla creazione di una rete capace di cogliere le prime difficoltà e offrire le prime risposte».

PREVENZIONE - «In certi casi occorre intervenire in modo mirato anche con la famiglia. L'intervento più efficace è la prevenzione, magari anche attraverso i pediatri» ha aggiunto Caffo. Mentre Vegetti Finzi ha sottolineato che «occorre distinguere: il bullo è qualcuno che fa qualcosa di violento, non è un violento. Occorre lavorare sulle sue positività».

Fonte: Corriere della Sera [9 Aprile 2013]

MILANO - Solo un bambino su nove tra i 520mila bambini maltrattati o offesi in Gran Bretagna annualmente in ambiente domestico viene aiutato e protetto dalla autorità competenti. Le violenze sui minori, di tipo fisico e psicologico, sono un’emergenza globale, ma un recente studio britannico dimostra come le minacce stiano provenendo da direzioni differenti rispetto al passato. E che alla fine, se non si è preparati a questo epocale cambiamento, può essere più pericoloso per i bambini giocare con il telefonino anziché andare al parco da soli.

CARAMELLE DAGLI SCONOSCIUTI - L’orco è in casa, non è ai giardinetti. Non distribuisce più caramelle pericolose né rapisce i bambini, ma li aggancia in rete, in chat o sullo smartphone. Il bullo non aspetta più la sua vittima fuori dalla scuola per prenderlo a botte, ma la abborda attraverso i social network, in un modo più subdolo e persino più nocivo, come dimostrano i tragici episodi di suicidi di ragazzini violati e derisi in modo virale su Fb, presi di mira nella propria privacy e nella propria dignità a un’età in cui si è troppo fragili e vulnerabili. E poi ci sono i pericoli intesi come tutte le immagini o le parole che possono traumatizzare un bambino, ferendone nel profondo la psiche. Anche se la ferita non si vede.

LO STUDIO - Il report della charity National Society for the Prevention of Cruelty to Children (NSPCC) sottolinea infatti ancora una volta come la nuova frontiera del pericolo per i più piccoli sia rappresentata da internet. Il rapporto, stilato incrociando dati ufficiali e sondaggi, ricorda che le violenze sui bambini avvengono con il doppio di probabilità in casa. A proposito del web invece viene evidenziato che un quarto dei ragazzini tra gli undici e i dodici anni vede ogni giorno qualcosa che li turba su internet. Il trenta per cento dei giovanissimi compresi tra gli 11 e i 16 anni è stato vittima di cyberbullismo o attraverso il web o via smartphone e più del 10 per cento ha ricevuto messaggi di carattere esplicitamente sessuale. Infine il trenta per cento ha avuto contatti con estranei e il 25 per cento dei sedicenni ha visto immagini o video a carattere sessuale nel corso dell'ultimo anno.

NUOVI E VECCHI PERICOLI - Lisa Hawker, autrice dello studio, vuole rimarcare anche le buone notizie che emergono da questo report e insiste su un altro aspetto della ricerca, che mostra come per quanto riguarda i pericoli più tradizionali i piccoli siano invece più al sicuro al giorno d’oggi. Lo scorso anno in Gran Bretagna si sono verificati 21.500 episodi di molestie sessuali sui minori e seimila tra questi episodi sono sfociati in stupri. Ma nonostante questi dati sconfortanti, nel lungo periodo la violenza sui bimbi sta calando. Gli omicidi che coinvolgono minori dal 1980 sono scesi del 30 per cento e si è registrato anche un declino dei suicidi. I classici rischi ai quali erano esposti un tempo i più piccoli si sono ridimensionati e si può parlare di vecchi pericoli in declino a fronte di pericoli emergenti in aumento ai quali la società non è ancora preparata. Il problema è l’inconsapevolezza dei grandi, che spesso non si rendono conto di quanto i propri figli siano esposti ai rischi, nonostante siano chiusi nelle proprie case calde e rassicuranti. Mentre al parco, dove molti genitori non si fidano a lasciarli andare da soli, i malintenzionati sono sempre meno. L’iper protezione insomma è dannosa, ma soprattutto spesso è orientata nella direzione sbagliata. Basterebbe un atteggiamento più vigile da parte degli adulti di fronte al mondo digitale e una guida consapevole, che aiuti grandi e piccini a difendersi dalle nuove minacce usando precisi ed efficaci accorgimenti.

L’ANONIMATO - È molto difficile sottrarsi alle molestie, alle aggressioni o agli inviti ambigui, soprattutto a causa dell’anonimato dietro al quale, generalmente, si nascondono questi fenomeni online. Dallo studio britannico emerge infatti che uno dei pericoli più frequenti tra i ragazzi che frequentano internet sono il cyberbullismo e il sexting, nuove modalità di aggressione e di molestie mediante cellulari e rete, con una piccola ma significativa differenza rispetto ai fenomeni vecchio stile: l’anonimato. Stesso discorso vale per ogni tipo di atteggiamento disturbato che si cela dietro a un’identità nascosta. Forse bisognerebbe iniziare da qui per proporre un uso educato di internet. Ai tempi della rete della prima ora circolava in rete una deliziosa vignetta che ritraeva un cagnetto intento a chattare mentre pensava tra sé e sé: «Il bello di internet è che nessuno sa che sono un cane». Ma quell’anonimato sinonimo di libertà ha purtroppo anche un altro volto che non ha a che fare con la libertà e che ha molto a che fare con nuovi tipi di minacce. Mentre al parco forse si potrebbe qualche caramella da sconosciuti, che non sono sempre cattivi. «A fronte dei pericoli emergenti - sottolinea lo studio - rivestono un importante ruolo la società, le comunità e le famiglie che hanno il dovere di collaborare con le istituzioni che non possono gestire il problema da sole. E forse il primo passo è l’informazione.

Fonte: Corriere della Sera [Emanuela di Pasqua]